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venerdì 2 novembre 2012

Ricavare energia alternativa dagli spinaci: si può!

Oltre a possedere qualità utili per l'alimentazione e di conseguenza l'organismo, gli spinaci dicono la loro anche in merito alla produzione di energia elettrica in modo alternativo.


Infatti, un team di studio interdisciplinare proveniente dalla Vanderbilt University ha messo a punto un modo per combinare la proteina fotosintetica che converte la luce in energia elettrochimica negli spinaci con il silicio, ovvero la materia usata nelle celle solari. Lo scopo è produrre più corrente elettrica rispetto alle precedenti celle solari “bio-ibride” (le quali combinano piante o insetti con la tecnologia solare). La ricerca è apparsa su ''Advanced Materials''.

Quarant'anni or sono, gli scienziati scoprirono che una delle proteine coinvolte nella fotosintesi, la Photosystem 1 (PS1), continuava a funzionare anche quando era estratta dalle piante, per esempio, dagli spinaci. 


Successivamente, gli studiosi hanno scoperto che la PS1 trasforma la luce solare in energia elettrica con il 100 % di efficienza mentre l'efficienza dei dispositivi realizzati dall'uomo è meno del 40 %. Queste scoperte hanno spinto diversi scienziati in tutto il mondo a provare ad adoperare la PS1 per realizzare celle solari più efficienti. Un altro vantaggio potenziale di queste celle “bio-ibride” è dato dall'economicità e disponibilità dei materiali con cui vengono realizzate .

Il substrato di silicio è stato modificato di proposito per la proteina PS1. Sono stati impiantati atomi caricati elettricamente per modificare le sue proprietà elettriche: un processo chiamato "doping". Per creare il dispositivo, gli scienziati hanno estratto la PS1 dagli spinaci collocati in una soluzione acquosa e l'hanno versata su una superficie di silicio “dopata” con carica positiva. Poi hanno posizionato il tutto in una camera in cui è stato creato il vuoto per far evaporare l'acqua.

martedì 16 ottobre 2012

In Brasile si studia quanto gas serra emana una coltivazione di caffè

Quanto inquina una tazzina di caffè? Per rispondere a questa domanda, il Centro di energia nucleare in agricoltura dell'Università di San Paolo (Brasile), sostenuto da Illycaffè, ha messo in piedi uno studio sulle emissioni di gas serra nelle coltivazioni. L'obiettivo è quello di aiutare tutta la filiera produttiva a identificare i problemi e a privilegiare quelle tecniche agricole alternative che, pur non pregiudicando la produzione, riducano le emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra.


Coordinata da Carlos Clemente Cerri, specialista di cambiamenti climatici, la ricerca è attualmente in corso nel Minas Gerais, lo Stato brasiliano dove si concentra il 68 per cento della produzione di caffè del Paese. ''Nel prossimo futuro, i consumatori esigeranno queste informazioni e noi dobbiamo metterci nelle condizioni di dare risposte adeguate'', ha spiegato. Lo studio misurerà l'impatto del settore del caffè attraverso l'identificazione dei principali gas emessi nel processo di coltivazione. In cima alla classifica ci sono anidride carbonica, metano e ossido di diazoto.


E gli studiosi hanno già scoperto che a inquinare più di qualunque altra cosa quando si coltiva caffè sono i fertilizzanti, in particolare quelli azotati. Secondo Cerri, questo tipo di concimazione rilascia infatti ossido di diazoto, uno dei peggiori gas serra. Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno analizzato tre importanti regioni del Minas Gerais: Cerrado, Matas de Minas e Sul de Minas. In Matas de Minas è emerso che il 75 per cento del totale delle emissioni analizzate è dovuto all'uso di concimi contenenti azoto, contro il 68 per cento nel Cerrado e il 59 per cento nel Sul de Minas.


Il primato del Matas de Minas è presto spiegato: qui il 91 per cento della concimazione del terreno viene realizzata attraverso fertilizzanti azotati sintetici e solo il restante 9 per cento con sterco di bovino e polpa di caffè. Per Cerro c'è soltanto una strada da seguire sul breve termine: ''Intensificare l'uso di fertilizzanti organominerali, che generano una diminuzione dei costi, una riduzione delle emissioni e un incremento del rendimento''.