L'ultimo gruppo è partito il 21 settembre 2012. Sette famiglie hanno salutato, forse per l'ultima volta, le Carteret Islands, il minuscolo arcipelago appartenente alla Papua Nuova Guinea. E rischiano di diventare famosi per un triste record: ovvero essere i primi al mondo costretti ad abbandonare le proprie terre a causa dei cambiamenti climatici.
Il riscaldamento globale sta facendo sciogliere ghiacci e innalzare il livello del mare. Una vera e propria tragedia per questi atolli, i cui terreni, bagnati dall'acqua salata, si apprestano a diventare totalmente incoltivabili. '' La produzione di cibo è sempre più scarsa e le riserve diminuiscono '', ricorda Ursula Rakova, la direttrice della Tulele Peisa, ossia l'organizzazione incaricata dal governo della Papua Nuova Guinea di gestire il trasferimento degli isolani. Nell'anno 2003, il governo della Papua Nuova Guinea ha riconosciuto infatti la necessità di evacuare totalmente i 2.500 abitanti delle Carteret. Ma l'operazione va a rilento perchè non ci sono i fondi per ricollocare le persone. Rakova si accontenta di aver appena trasferito altre cinque famiglie a Bouganville, su un terreno donato dalla Chiesa Cattolica, ma nella sua mente è impressa una data: '' Una ricerca scientifica presentata in Germania ha previsto che le isole saranno completamente inabitate entro l'anno 2045, perchè allora sarà impossibile coltivare qualsiasi cosa. Resterà la sabbia, forse qualche albero di cocco, ma le persone non potranno sopravvivere ''.
I suoi 1.200 abitanti passeranno alla storia con il poco invidiabile titolo di primi profughi del riscaldamento globale e della crescita del livello dei mari. Non sono soli: tra i paradisi naufraghi ci sono anche due gruppi di isole del Sud del Pacifico, Kiribati e Tuvalu; e si calcola che, entro il 2050, 200 milioni di persone saranno costrette a cambiar mare, cielo, e indirizzo. Le Carteret saranno i primi piccoli punti a scomparire dalle carte geografiche. Il commiato è complicato, arrivarci richiede una spedizione. Non ci sono traghetti né cargo né battelli, e l’unica opzione dall’isola di Buka è il noleggio di un’orrida banana boat, un sei metri a motore, e una traversata di cinque ore, in aperta Oceania, in compagnia dei delfini e delle nuvole e, infine, di sei minuscole selve disposte a ferro di cavallo, tra le spume dei coralli: quel che resta dell’atollo.
Le isole Carteret hanno circa 1500 abitanti, e tutti dovranno andarsene, anche se circa un terzo della popolazione lo rifiuta. Dicono che lì sono nati e cresciuti, lì hanno trascorso la loro vita e vogliono rimanerci, anche a costo di finire sott’acqua. Negli ultimi vent’anni il livello del mare si è alzato nella zona di circa 10 centimetri. Non è così poco come potrebbe sembrare, dal momento che le isole Carteret si innalzano al massimo di un metro e mezzo sul livello del mare. L’atollo fu scoperto dal navigatore inglese Philip Carteret nel 1767. All’epoca, ci abitavano già da almeno mille anni i melanesiani; avevano sloggiato, dopo una furibonda battaglia tra canoe, i polinesiani di Mortlock. Per secoli vissero in completa simbiosi con il mare: alla fine, andavano a spargere le loro mortali ossa in pieno oceano, oltre la barriera corallina, in un sepolcro marino chiamato Halagi, con una sobria cerimonia che culminava con il defunto dato ai pesci con un bel carico di pietre.
che disastro ... tempo fa ho sentito che anche le maldive sono a rischio di fare la stessa fine
RispondiEliminaInquietante!
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